gattini

Quale bambino non ha sognato di avere una casa sull’albero?

un rifugio per giovani esploratori, il nascondiglio perfetto per conservare piccoli tesori, la tana in cui complottare marachelle…Lì niente principesse, non c’era posto per loro; troppo pericoloso, inadatto. Per le delfine era più appropriata una tenda, in vòile, al centro del salotto, con cuscini dai colori vistosi, paillettes e lustrini.

Nei dintorni di casa mia c’era l’imbarazzo della scelta: mille i posti in cui nascondersi e le occasioni di fare giochi avventurosi e al limite del pericolo. Era regolare: rientravamo a casa sporchi, qualche segno sui gomiti, le toppe sulle ginocchia sdrulcite…perché i pantaloni della tuta nascevano già con la pezza a metà gamba che non serviva a nascondere buchi consunti ma a preservare le ginocchia dal cemento del cortile. Ricordo ancora la sensazione delle pietruzze che si conficcavano nelle spaccature delle croste. Usciva il sangue rosso come le ciliegie, caldo e scivolando giù per la gamba tingeva i pantaloni creando artistiche striature tra le macchie d’erba e di unto. Sarebbe stato bellissimo se non avesse fatto dannatamente male! e poi le medicazioni …l’acqua ossigenata che faceva la schiuma sulla ferita e a seguire  mercuro cromo. A fiumi. Credo di essere andata in giro macchiata di rosso per la maggior parte della mia infanzia.

La mia vera fissazione da bambina erano gli animali. Ma poi mi accontentavo degli insetti che erano più facilmente reperibili e più semplici da gestire. Chili di lombrichi, grilli, lumachine e di quelle bestine rosse e nere con il corpo allungato a goccia… viaggiavano veloci, complicato accalappiarle!

Le mie preferite erano quelle da me definite trenini: grige, con in corpo composto da tante placchette …se erano ferme ne capivi il senso guardando le antennine ma erano sempre in moto e appena le toccavi si chiudevano a palla, rotolando come sfere se il piano era inclinato.

Niente torture: io le ammucchiavo in tante scatole di plastica trasparente.Quelle dei formaggini avevano già dei fiorellini per farli respirare e li catalogavo prima per dimensioni, poi per sfumature di colori …

Così potevo giocare anche da sola per ore ed ore senza annoiarmi.

E la delusione di catturare le lucciole? da vicino erano così bruttarelle …d’estate erano tantissime! La sera ne contavi a centinaia!! Ripensandoci anche quell’altro tipo di lucciole ora le incontri di rado per strada …magari anche quelle che volano con la pancia fosforina si sono organizzate in casa aprendo centri massaggio.

In fondo al cortile mio nonno teneva gli animali. Lui e mio padre avevano due concezioni differenti dell’avere delle bestiole: per il primo dovevano essere utili (per la guardia, per le uova, per la carne) mentre per l’altro erano un arricchimento, un abbellimento estetico.

Ogni anno mio papà ci portava in Piemonte alla fiera del bestiame e tornavamo a casa sempre con un coniglietto o dei pulcini …un anno le papere, quello dopo le galline americane, un germano, un pavone …Poi era mio nonno che le accudiva e nonostante il suo borbottare morivano tutte di vecchiaia.

Ma la cosa che più di ogni altra ha segnato indelebilmente la mia infanzia è la ricerca spasmodica del contatto con gli animali “peluscini”. I conigli erano tabù, non li potevo tenere in braccio come avrei voluto e il primo cane arrivò quando avevo sei anni perciò prima era caccia al gatto!

Erano tanti a transitare nei dintorni ma tutti rigorosamente selvatici …poi c’era una gattina bianca con una macchia nera su di un fianco. Era piccolissima ma non perché troppo magra …sembrava in scala 1:2 …”perché è nata di agosto” diceva mio papà …non so se è vero, se è scientificamente provato e se le staristiche ci danno raguone,  ma lo dico ancora anche io !

Ecco, quella gattina bianca aveva rimpiazzato Saetta che è stato il primo dei trovatelli che trovò una casa nel nostro cortile; aveva un nome femminile e ogni volta che ingrassava un po’ si aspettava partorisse da un momento all’altro. Ma era un maschio e quando ce ne accorgemmo era ormai Saetta per tutti.

La gattina bianca invece era femmina, lo era e non lo teneva nascosto …già…perché partoriva con la stessa frequenza con cui io mangerei la pizza. Faceva non più di tre gatti alla volta e li faceva bellissimi! li teneva nascosti fino a quando, un po’ traballanti, non erano in grado di venire da soli a mangiare nelle ciotoline. Camminavano male ma in compenso graffiavano e soffiavano come mantici! Catturarli era difficilissimo!! perdevo ore ed ore nell’intento …si infilavano nei posti più assurdi ma se gli facevo penzolare uno spago, non sapevano resistere e uscivano per catturarlo. E io loro di conseguenza. Per prenderli dovevo essere al contempo veloce e attenta perché avevano denti aguzzi e unghie affilate. Quando riuscivo ad afferrarli, sentivo il loro cuore battere all’impazzata per la paura ma vi assicuro che anche il mio lo faceva. Ma per la gioia. Li tenevo sul petto, dentro le mani, dopo poco si calmavano e si lasciavano accarezzare. Il pelo era soffice sotto, una peluria che sembrava ovatta dalla quale spuntavano peli dritti, perpendicolari che in controluce sembravano brillare.

Io li baciavo…insistentemente. Quelle zampette rosa sulle mie labbra portavano gioia nel mio cuore e germi e batteri nella mia bocca. Avevo le gengive piene di afte come se mi dissetassi con l’acqua stagnante delle fosse a cielo aperto.

Nonostante che le afte erano una delle poche certezze della mia vita così come i metodi per eliminarle (dolorosissimi) non potevo esimermi dalla cattura di quei batuffoli di pelo e sporcizia.

Solo in seguito appresi che agli altri bambini spennellavano una tintura trasparente …a me il limone come consigliato da qualche medico specializzato in torture ai prigionieri di guerra.

5 risposte a “gattini”

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